C’erano una volta i parenti, quelle figure più o meno affettive che con regolarità si andavano a trovare di domenica oppure nelle famose “feste comandate”, come si diceva all’epoca.
Poi progressivamente il mondo è cambiato: alla società più o meno dispotica dei legami di sangue, si è sostituita una società più liquida, direbbe Zygmunt Baumann, più narcisistica, dico io, dove conta emergere individualmente piuttosto che sentirsi parte di un progetto comune.
Quando ero bambino, negli anni ’60, i miei genitori avevano un bar e lavoravano anche di domenica, quindi, per rispettare la tradizionale visita ai parenti, mi “spedivano” con la famiglia di un mio compagno di classe che effettivamente la faceva.
I suoi abitavano in casupole agricole sulle colline piacentine, e non sempre era una domenica piacevole, ma me ne facevo comunque una ragione.
Più simpatica era l’estate: le sorelle di mio padre vivevano in campagna, qualcuna con figli, e passavo un certo periodo proprio da loro.
Ho un ricordo non solo tenero, ma anche significativo: stando in queste case di campagna, imparavo tante cose e soprattutto mi ritrovavo nella natura con altri bambini.
Erano esperienze che mi portavano lontano dai genitori, ma in un mondo comunque protetto, dove facevo riferimento a queste zie con rispetto e anche gratitudine per la loro ospitalità.
Era un modo per sentirmi protagonista della mia estate.
Da piccolo, le vacanze più belle sono state quelle trascorse con loro in campagna.
Questo è uno dei motivi per cui ritengo la zia una figura educativa di spicco nella crescita dei bambini e anche dei ragazzi.
È importante permettere già dai tre-cinque anni delle forme di allontanamento protetto: dormendo fuori casa, condividendo con i cuginetti una stanza, un cortile, un giardino, un giro in bicicletta o una vacanza al mare o in montagna.
I bambini oggi sembrano diventati sempre di più un possesso esclusivo dei genitori. Ecco che questa figura ci ricorda che per educare occorre una comunità.
E non si tratta della scuola o della squadra di calcio, ma anche di tutte quelle figure affettive che permettono ai figli di riconoscere una solidarietà famigliare, un intreccio di storie anche genealogiche, una conoscenza delle radici dei propri genitori.
La zia, assieme ovviamente ai nonni, è un pezzo di questa storia, un frammento di un legame più ampio e più vasto.
Riscoprirla per dei momenti di condivisione, nelle vacanze o in occasioni di varia natura, fa bene ai nostri figli e non costa nulla.
Articolo di Daniele Novara, pedagogista e direttore CPP, pubblicato da Messaggero di Sant’Antonio, gennaio 2020.