Agonismo ed educazione, si o no?

Agonismo sì o no? Il movimento e lo sport possono contenere una valenza formativa per i bambini, ma come rapportarsi alla competizione?
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Il movimento, il gioco e lo sport possono contenere una valenza formativa per i bambini. Questo a patto che gli adulti rispettino le tappe evolutive tipiche delle varie fasce d’età. E propongano attività idonee utilizzando metodi educativi, dimostrando buone competenze pedagogiche. Nello specifico vorrei soffermarmi sulla questione: agonismo sì o no? Come proporlo?

Cos’è l’agonismo?

L’agonismo è gara. Si esprime nelle attività competitive, dove la sfida è prima di tutto con sé stessi, per crescere e migliorarsi. Poi con gli altri, per confrontarsi lealmente. Con il tempo cronometrico (e perché no anche atmosferico negli sport in ambiente naturale). Con finalità prestative, rispettando le regole, a pari condizioni di età, livello, genere, caratteristiche fisiche, che non danneggia né dal punto di vista fisico né emotivo e relazionale.

L’agonismo classico e diffuso universalmente è esclusivo e antidemocratico. Vince il più bravo, tutti gli altri che competono non vincono, perché il posto del vincitore è tradizionalmente e perentoriamente uno solo. Già da questo presupposto si capisce che l’attività sportiva agonistica è qualcosa di molto impegnativo, che prevede, in chi la pratica, innanzitutto di averla scelta liberamente e consapevolmente, oltre che buone capacità emotive e cognitive per affrontare vittorie (poche) e sconfitte (molte) con grande equilibrio.

Non è un modello di attività adatta ai bambini, perché queste competenze ancora non le possiedono e non riescono a capirne il significato.

Agonismo: ogni cosa a suo tempo

Il percorso di educazione all’agonismo è costituito da un lungo e paziente cammino che deve essere proposto gradualmente, rispettando gli stadi dello sviluppo, da persone competenti dal punto di vista pedagogico.

È utile non bruciare le tappe, evitando di proporre ai bambini giochi e attività sotto forma agonistica, pensando, con questa scelta, di motivarli. Ci sono altre modalità che creano passione e motivazione nei giovanissimi allievi. L’interesse per un’attività è dovuto, spesso, al livello di gratificazione che la stessa produce e questo generalmente è legato all’esperienza del successo e della riuscita che un bimbo sperimenta.

Al fine di coinvolgere tutti i bambini è bene proporre delle attività in cui possano vincere e sentirsi «bravi». Come fare?


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Si vince per competenza, non per bravura assoluta

La risposta al quesito è: uscire dall’agonismo e ampliare le possibilità di successo, affinché tutti possano vincere se riescono a fare qualcosa che viene proposto secondo i criteri stabiliti. Vincono tutti quelli che riescono a fare, per esempio, almeno un (due, tre, ecc.) tiro in porta, un canestro, valicare un ostacolo, passare e ricevere una palla, percorrere una distanza in un determinato tempo (largo), ecc. Ossia si vince per competenza (riuscire a) e non per bravura assoluta (essere il migliore). La mancanza di oggettività nel valutare i fatti, sommato all’egocentrismo che non permette di vedere oltre la propria persona, fa sì che tutti i bambini possano sentirsi vincitori, senza che nessuno abbia perso.

Questa modalità di valutare la riuscita non significa livellare verso il basso. Chi arriva prima alla meta lo sa, come lo sanno tutti gli altri, e alcune volte può essere positivo sottolinearlo. Allo stesso modo, chi arriva ultimo ne è consapevole. Ma in questo caso il fatto di non metterlo in evidenza è il miglior modo per permettere ai meno pronti di migliorare. E di provare piacere per le attività proposte. Col passare del tempo, i criteri di vittoria fanno riferimento al miglioramento, cioè vincono tutti quelli che hanno fatto un gol, un canestro, un passaggio, un salto, una corsa meglio della volta precedente. In tale modo si introduce il concetto di autoefficacia e di successo: sentirsi bravi perché si ha migliorato la propria prestazione.

Vincono tutti, molti, pochi

Progredendo poi nelle proposte, che ancora non rientrano nell’ambito dell’agonismo, senza fretta, si stringono i criteri di vittoria, in modo tale da abituare i bambini ad affrontare l’insuccesso. A questo punto si passa dal vincono tutti, poi molti, poi pochi e infine solo uno.

A poco a poco, i bambini, ormai diventati preadolescenti, si abituano a capire che la gratificazione non viene dalla vittoria assoluta (rara per tutti), ma dal successo che si sperimenta con il miglioramento, il divertimento, lo spirito di inclusività che si respira fra i compagni di gioco, sottolineata e rinforzata dall’adulto competente.

Inoltre, si impara a conoscere, accettare e superare i propri limiti grazie a una forte motivazione, all’allenamento e all’impegno costanti, senza tralasciare uno stile di vita salutare.

Articolo di Lucia Castelli, pedagogista ed insegnante educazione fisica, pubblicato sulla nostra rivista “Conflitti
Consigli di lettura: J. Mogni, Un mondo di giochi. 125 giochi per l’avviamento all’agonismo, Editoriale Sport Italia, Milano 2008

Agonismo sì o no? Il movimento e lo sport possono contenere una valenza formativa per i bambini, ma come rapportarsi alla competizione?

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