Leadership e conflitti: come porsi

Parlando di leadership e conflitti non bisogna fidarsi di quelle figure apicali che negano l'esistenza del conflitto nel loro gruppo di lavoro.
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Parlando di leadership e conflitti non bisogna fidarsi di quelle figure apicali che negano l'esistenza del conflitto nel loro gruppo di lavoro

Parlando di leadership e conflitti, mi è capitato di guardare più volte con sospetto verso figure apicali che sostenevano che l’esperienza del conflitto sul lavoro non facesse parte del loro “bel gruppo di lavoro”. Molto spesso il lavoro di analisi ha portato ad evidenziare come, dietro a tale percezione e convinzione, ci fosse in realtà un meccanismo di controllo del conflitto molto potente, che di fatto stravolgeva il senso stesso del lavoro di gruppo e dell’esigenza di coordinamento: per tutelarsi rispetto all’esperienza del conflitto gli spazi di autonomia risultavano di fatto fortemente ridotti se non addirittura azzerati, si finiva per legittimare un accentramento delle decisioni e delle responsabilità colludente con la paura diffusa del giudizio e dello scontro, così che alla fine chi esercitava una posizione di leadership risultava l’attore protagonista di tutte le decisioni.

Non aveva luogo – di fatto – alcun processo di coordinamento e proprio per questo nessun fenomeno di conflitto!

La leadership che abita il conflitto

Una persona che gestisce con leadership team lavorativi, quindi, deve disporre anche di dispositivi capaci di riconoscere, legittimare ed esplorare il conflitto, specialmente se all’interno di un gruppo. Chi coordina deve essere lui per primo un professionista capace di “stare” nel conflitto, di abitarlo come spazio possibile da attraversare lungo i percorsi collaborativi, nella certezza che proprio in quello spazio si giocherà prioritariamente la sua funzione e la sua utilità a servizio del gruppo di lavoro e del rapporto tra questo e l’organizzazione di riferimento.

Per avere leadership bisogna negare il conflitto?

Mi pare interessante provare a tracciare un parallelo tra queste considerazioni e quelle proprie del cosiddetto “team management”, modello che si incrocia all’interno di sempre più complessi processi di ristrutturazione e riorganizzazione del lavoro. Credo che l’attenzione verso il soggetto “team” possa rappresentare un interessante vertice osservativo a partire dal quale rileggere anche la struttura generale della maggior parte dei contesti di gruppo di lavoro. Spesso chi detiene la leadership appare come la figura che deve prioritariamente garantire che le diverse competenze non entrino in conflitto tra loro, ma piuttosto risultino complementari e capaci di riconoscersi e integrarsi in vista del raggiungimento dell’obiettivo. All’interno di tale paradigma rischia di perdere evidentemente valore la dimensione, propriamente relazionale, relativa alla capacità di stare insieme all’interno di un processo collaborativo inevitabilmente conflittuale.


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La natura relazionale della leadership e del conflitto

Il punto invece è quello di riconoscere al leader una natura più propriamente relazionale della sua funzione, vale a dire la mission di garantire l’incontro non solo tra le diverse competenze in vista dell’obiettivo ma anche la coesistenza tra le persone che le incarnano. Si tratta quindi di lavorare sulla “coesione” del gruppo di lavoro, di focalizzare la ricerca attorno alla possibile complementarietà e finalizzazione di certe caratteristiche, storie e attitudini personali, anche e soprattutto di certe preferenze lavorative orientate verso il processo collaborativo piuttosto che verso il contenuto di lavoro. Tutti elementi questi che normalmente non sono immediatamente oggetto di lavoro e sono lasciate fluire (o straripare) lungo i percorsi del lavorare insieme.

I compiti della figura di leader

Molto spesso a conclusione di un percorso di riflessione o di formazione intorno alla funzione di leadership e al ruolo di coordinatore, mi viene chiesto se una tale visione della questione non rischia di essere eccessivamente responsabilizzante, vale a dire se non c’è il rischio di ricondurre al gruppo tutta una serie di elementi di problematicità, anche in riferimento alla dimensione del trattamento del conflitto, che travalicano, in realtà, i suoi confini e si ritrovano e sviluppano nell’intera organizzazione, fino a mostrare radici e intrecci anche al di fuori dei limiti del contesto organizzativo. E’ evidente che il ruolo del leader non esaurisce il bisogno di coordinamento che è intrinseco ad ogni processo collaborativo. Certamente però la sua figura deve essere capace di attivare e sostenere processi di negoziazione sulle risorse e con le risorse del gruppo, che di fatto si risolvono in processi di integrazione delle diversità capaci di rendere più efficace ed efficiente il lavoro del gruppo.

Testo tratto dall’articolo ” Lavorare insieme stanca Il mestiere di coordinatore e la pratica della gestione dei conflitti” di Fabrizio Lertora pubblicato sulla rivista Conflitti.

Parlando di leadership e conflitti non bisogna fidarsi di quelle figure apicali che negano l'esistenza del conflitto nel loro gruppo di lavoro

Parlando di leadership e conflitti non bisogna fidarsi di quelle figure apicali che negano l’esistenza del conflitto nel loro gruppo di lavoro

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