La lifelong education parte da una motivazione interna.
Mi capita di partecipare a momenti più o meno pubblici rivolti alle famiglie per aiutarle nell’orientamento scolastico dei loro ragazzi, specialmente nel passaggio dalla terza media, che oggi si chiama secondaria di primo grado, alla scuola superiore o secondaria di secondo grado.
È una questione che trovo talvolta “imbarazzante”, sapendo che difficilmente un ragazzo, a tredici, quattordici anni, è in grado di stabilire qualcosa di definitivo per la sua vita, per il suo futuro o addirittura per la sua professione. A fare scelte consapevoli.
In genere mi limito a ricordare ai genitori di non esagerare con le pretese e le aspettative, e di orientarsi a scegliere una scuola che sia sostenibile per i loro figli. Saranno poi i ragazzi stessi, nel corso degli anni, ad avere la possibilità di sintonizzarsi con i propri interessi, con le proprie risorse e, a suo tempo, di fare le scelte giuste.
È un’età in cui sia i processi di instabilità cerebrale che di dipendenza genitoriale lasciano dei margini limitati alla libertà di scelta e se anche apparentemente questa ci fosse, bisogna poi riconoscere che esiste un’induzione più o meno subliminale e implicita da parte dei genitori, e tanto più degli insegnanti, che spinge ad andare in una direzione o nell’altra.
In poche parole: è impossibile fare una vera scelta scolastica a tredici, quattordici anni.
I legami con il sistema degli adulti sono troppo forti per poterli sciogliere e procedere a decidere consapevolmente della propria vita.
Sorgono però varie domande: “La scuola allora è destinata a essere un’esperienza di dipendenza, di subalternità più o meno indotta al mondo degli adulti? È qualcosa che appartiene ai doveri a cui un bambino o un ragazzo deve sottostare per diventare adulto e avere un posto nella società? O la scuola, viceversa, è qualcos’altro?”.
Conviene a questo punto ricordare l’origine semantica del termine greco σχολή (scholè) che esprime un contenuto ben diverso dal senso dell’obbligo e del dovere.
Scholè rimanda piuttosto a un’esperienza che sta nella logica del godimento, del relax, della fruizione di una pausa o comunque di un qualcosa legato agli interessi individuali.
Dobbiamo tornare al significato originario e recuperare questa straordinaria radice semantica per ricordarci che la scuola è un luogo dove occorre andare volentieri, dove si dovrebbe sperimentare il piacere di costruire sé stessi, non l’obbligo di rispondere di sé stessi agli altri.
Le nostre scuole tradizionali sono ossessivamente centrate sul bisogno del controllo e del giudizio. Eppure non è la capacità di garantire un giudizio equo che fa buona la scuola, ma è la priorità ai singoli bisogni di crescita, a ciò che rende ognuno più capace di praticare le proprie competenze.
In questa accezione, non c’è ombra di dubbio, la vera scuola è quella che si sceglie da grandi, in età adulta, quando l’infanzia e l’adolescenza sono finite e quando la dipendenza infantile, evolutiva e anche economica si è esaurita, ossia quando le decisioni vengono prese su base davvero volontaria: libere scelte motivate dal provare finalmente a costruire un apprendimento fondato sui propri interessi e non su quelli dei genitori o degli in segnanti.
Lifelong education
È quando l’apprendimento rappresenta una motivazione interna, il gusto di fare qualcosa solo per sé stessi, per migliorarsi, per crescere come persone, per acquisire qualcosa di nuovo che prima non c’era, ma in cui ci si riconosce, che si apre la meraviglia dell’imparare da grande, la meraviglia e la bellezza dell’essere adulti, svincolati dal controllo, dall’accanimento di altri adulti, dalla costrizione.
Imparare da grandi è un’esperienza nuova: fino a pochissimi decenni fa si pensava addirittura che gli adulti non imparassero più, tant’è che le Facoltà dell’età evolutiva si fermavano all’adolescenza.
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Oggi, le neuroscienze ci confermano che l’apprendimento è possibile anche in un ciclo della vita ben più interessante e ben più ricco (lifelong education) di quello che coincide con il periodo della scuola tradizionale. E ci offrono la possibilità di continuare a scommettere su noi stessi, sulle nostre risorse, magari proprio su quelle tenute in stand by che non abbiamo potuto esprimere e che sono rimaste inutilizzate, rattrappite e abbarbicate al passato.
Faccio un esempio a partire dalla mia esperienza personale: da piccolo mi piaceva molto far ridere i compagni, avevo un senso umoristico abbastanza naturale, fare battute era qualcosa più forte di me.
Ma il mio humor non era molto gradito agli insegnanti e, alla fine, ho dovuto inevitabilmente imparare a controllarmi e limitarmi senza poter mai coltivare questa risorsa. Improvvisamente, in una seconda parte piuttosto avanzata della mia vita, mi sono ritrovato davanti a vari tipi di pubblico, in sale e poi, vista l’affluenza di genitori alle serate, anche nei teatri.
È stato incredibile poter riagganciarmi a qualcosa di me che era stato schiacciato, se non represso, nella mia infanzia e nella mia adolescenza e poter, davanti a tante persone che erano lì ad ascoltarmi come pedagogista, fare una battuta, un racconto divertente, uno scherzo verbale, utilizzare l’ironia e l’autoironia, o immagini sorprendenti facendo ridere, alleggerendo il clima senza togliere nulla al mio lavoro strettamente scientifico.
Avere la sensazione di poter finalmente riconnettermi a un desiderio profondo legato alla mia infanzia, ma anche a un bisogno comune che è quello di una certa allegria, di una risata e di un sorriso è stato liberatorio: poter recuperare una dimensione benevola, che è il contrario della pesantezza giudicante.
Nell’imparare da grandi c’è tutto questo: la possibilità di ripescare e riattivare parti di noi sopite, ma l’occasione per scoprire qualcosa di completamente nuovo, magari aspetti e risorse che non conoscevamo e che emergono, o riemergono, sorprendendoci e dandoci una nuova possibilità.
C’è sempre la possibilità di un nuovo inizio nella lifelong education, di ricominciare una nuova scuola, finalmente scelta e non più subita.
Articolo di Daniele Novara pubblicato sulla rivista Conflitti numero 2/2020
daniele.novara@cppp.it