Stress lavorativo: come superarlo e migliorare la vita professionale

Cosa poter fare per evitare che lo stress lavorativo si diffonda, intaccando il benessere psicologico di molti lavoratori e lavoratrici?
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Cosa poter fare per evitare che lo stress lavorativo si diffonda, intaccando il benessere psicologico di molti lavoratori e lavoratrici?

Se conosci lo stress lavorativo, hai ben presente queste frasi: “Un giorno sei un genio, quello dopo non vali niente”. “Ti dicono di essere propositivo, di darti da fare in autonomia, ma poi se fai qualcosa che non è stato deciso dai capi ti puniscono”. “Non ce la faccio più”.

Ho ripescato queste frasi nei miei appunti di una consulenza organizzativa, e parto da qui per proporre una riflessione sul lavoro che fa stare male, che fa ammalare, che produce disagio e sofferenza. È un tema ampiamente dibattuto e studiato.

Negli ultimi anni ci si è occupati in particolare del mobbing, una forma di violenza specificatamente collocata all’interno delle situazioni e relazioni di lavoro, e il tema è ormai oggetto di studi, pubblicazioni e convegni.

Eppure, nel concreto del quotidiano lavorativo di molte persone, le analisi e le riflessioni non riescono a produrre cambiamenti e miglioramenti. Il malessere legato alla violenza psicologica (e non solo purtroppo) sui luoghi di lavoro continua a esserci, anzi qualcuno sostiene che sia in aumento. È proprio in questi contesti che lo stress lavorativo si diffonde, intaccando il benessere psicologico di molti lavoratori

Stress lavorativo e malessere psicologico nei luoghi di lavoro

Cito ora una ricerca Eurispes di una decina di anni fa. Affermava che il 43% dei lavoratori stava così male sul posto di lavoro da dover prendere dei farmaci per poter continuare a lavorare. Questa problematica colpiva maggiormente gli impiegati, gli insegnanti, gli operatori dei servizi. Tutti lavoratori impegnati in contesti ad alta densità relazionale.

Oggi i giorni di malattia dei lavoratori sono drasticamente aumentati, segno che non si sta male perché si teme di perdere il lavoro (o di subire una riduzione di orario, la cassa integrazione ecc.) ma che c’è dell’altro. Questo fenomeno è strettamente legato all’aumento dello stress lavorativo che, oltre a generare ansia, diventa una delle principali cause di disagio psicologico all’interno delle organizzazioni.

Cosa pensare di questo malessere? All’interno di qualunque organizzazione lo svolgimento dei compiti di lavoro è sempre accompagnato da un senso di incertezza che genera inevitabilmente ansia. Paradossalmente, pare che il fatto stesso di far parte di un’organizzazione, spesso strutturata e complessa, aumenti tale fenomeno. Probabilmente come reazione alla delusione dell’aspettativa che proprio l’organizzazione – in quanto progetto immaginato perfettamente razionale – non sia esposta all’incertezza. Si attivano così, all’interno delle situazioni di lavoro, meccanismi difensivi naturali finalizzati a proteggere dall’impatto emotivo ansiogeno, e il sistema delle relazioni interpersonali – che di fatto costituiscono l’essenza dell’organizzazione – è il più esposto alle dinamiche generate da questi meccanismi.

Stress lavorativo e conflitti nelle relazioni interpersonali

Il tema della collaborazione, in genere affrontato dal suo lato, per così dire “in luce”, dovrebbe essere esplorato anche in questo suo aspetto “in ombra”. Lavorare insieme è l’ambito privilegiato per l’emergere di incomprensioni e di conflitti che vengono anche da lontano. E che, se non gestiti, diventano l’anticamera di rivalità, antagonismi, lotte di logoramento che si presentano sulla scena dell’organizzazione con tutti i ruoli di cui c’è bisogno: vittime, carnefici, complici, spettatori.

È un paradosso: sono proprio le relazioni, generalmente intese come antidoto al disagio lavorativo, a divenirne invece amplificatori e strumento attraverso il quale tale disagio prende forma e diviene capace di fare del male. L’ansia dell’incertezza, del non sentirsi mai sicuri di essere all’altezza di quanto richiesto, del non sapere quali indicatori saranno utilizzati per valutare l’impegno messo in campo, la certezza che le proprie competenze sono destinate a perdere valore velocemente a fronte dell’altissimo tasso di cambiamento in corso, sono questi i motivi di fondo da ricercare e affrontare se si vuole rispondere in modo efficace allo stress lavorativo sui posti di lavoro. La gestione di questi conflitti interpersonali è cruciale per prevenire il peggioramento dello stress lavorativo e il conseguente malessere.


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Ansia psicologica nelle organizzazioni

Ci viene in aiuto Larry Hirschhorn, attento studioso delle psicodinamiche organizzative:

“…poiché molte organizzazioni si trovano di fronte ad ansie e paure incontrollabili, le offese psicologiche sono frequenti e prevedibili… i processi interpersonali rappresentano una modalità per oggettivare l’ansietà primaria, l’ansietà che proviene dal lavoro, cioè dal perseguimento dei fini dell’organizzazione”.

Quindi l’organizzazione ha una responsabilità centrale. Non si tratta banalmente delle difficoltà dei singoli lavoratori e non si può liquidare tutto nel segno dei difficili rapporti interpersonali. Non è questo il luogo in cui analizzare questo versante. Credo ci possa bastare aver posto la questione in questi termini e aver offerto una serie di elementi utili per iniziare a farsi delle domande e a esplorare nuove possibilità di lettura delle situazioni.

L’ansia psicologica derivante dallo stress lavorativo è un problema che le organizzazioni devono affrontare con urgenza.

Il ribaltamento dell’incertezza: stress lavorativo e crisi organizzative

Si apre un nuovo scenario: nel mobbing sembra avvenire un ribaltamento di piani per cui l’aggressività, attivata dall’incertezza “esterna”, si riversa all’interno, si incanala nel complesso sistema di relazioni organizzative, ne sonda argini, brecce, sfoghi e trova dei terminali in corrispondenza dei quali spesso diventa violenza.

L’organizzazione paga dazio rispetto alla propria incapacità a leggere e intercettare l’incertezza ansiogena e ad attivare dispositivi di trasformazione della stessa in forme di energia produttiva. Nulla di nuovo certo, ma oggi più che mai potente. La crisi economica ha fatto aumentare esponenzialmente il livello di stress lavorativo, amplificando l’incertezza, l’insicurezza e il disagio psicologico all’interno delle organizzazioni.

Nel tempo della crisi questo rischia di amplificare i propri effetti. Anche le organizzazioni di lavoro, almeno buona parte di esse, hanno vissuto, come forse l’intera società occidentale, un tempo significativo caratterizzato da un modo di vivere alterato se non addirittura “drogato”: la crescita non può fermarsi, il circuito produzione-consumo è un meccanismo perfetto, la competitività aumenta lo stimolo all’innovazione e all’efficacia, il lavoro è centrale nel percorso di affermazione di sé.

Tali assunti impliciti, a volte anche espliciti, oggi non valgono più. Appare all’orizzonte un tradimento che “qualcuno”, dal nome non ben precisato, ha consumato a fronte di tante imprese, organizzazioni, persone che nel loro lavoro e sul loro lavoro hanno costruito relazioni e identità. Un tradimento impensabile e spesso emotivamente insostenibile.

Fronteggiare l’incertezza

Fronteggiare l’incertezza, accettare la possibilità di perdita, integrare la necessità di cambiamenti radicali. Non sono più competenze e approcci mentali così facilmente disponibili oggi come un secolo fa. Piuttosto che accettare il dato di realtà che ci parla di un inesorabile declino, rincorriamo strenuamente una qualche previsione minimamente confortante che indichi un’uscita dalla crisi.

Movimenti pulsionali, funzionamenti reattivi, incapacità di trasformare ciò che si vive per non esserne presi in trappola. L’incertezza aumenta ogni giorno e con essa l’ansia e la pressione a trasferirla là dove possibile, là dove può essere mascherata con altro: fermezza, determinazione, leadership. In realtà impotenza furibonda, che trova facilmente nei luoghi di lavoro assetti e ruoli di potere che appaiono perfetti per lasciarla sfogare. In alcuni casi, non meno drammatici, questi stessi meccanismi prendono un’altra via e il bersaglio non diventa l’altro ma se stessi.

Diceva Sartre: “Non è tanto importante quello che gli altri hanno fatto a te, quanto quello che tu fai di quello che ti è stato fatto”. Questo vale oggi, anche sui posti di lavoro e dentro le organizzazioni. La consapevolezza dello stress lavorativo è essenziale per prevenire che tale malessere esploda in forma di violenza psicologica o autolesionismo.

È urgente prenderne consapevolezza, e provare ad attrezzarsi per potervi far fronte cominciando a diminuirne il potenziale di danno.

Testo tratto dall’articolo “Stare male al lavoro” di Fabrizio Lertora pubblicato sulla nostra rivista “Conflitti”
8 Aprile 2025

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